Crimini del Terzo Reich: ha giurisdizione il giudice italiano

Il figlio ed erede di un italiano, deportato in Germania durante il secondo conflitto mondiale, nel 2004, conveniva in giudizio, presso il Tribunale di Firenze, la Repubblica Federale di Germania per ottenere la condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito, iure proprio e iure hereditatis, a causa dell’illegittima cattura, della deportazione, del lavoro forzato e della morte del padre. L’uomo, sospettato di collaborare con la resistenza, si era presentato al comando tedesco per ottenere la liberazione del figlio tredicenne (odierno attore) preso in ostaggio durante una perquisizione. Il ragazzo veniva liberato, mentre il padre era imprigionato e deportato in un campo ove, come lavoratore forzato, era impiegato in una fabbrica di materiale bellico e, alla fine, veniva ucciso da un comando delle SS. Il titolare della fabbrica presso cui lavoravano i prigionieri – classificati, su ordine di Hitler, come “internati militari italiani” e non come “prigionieri di guerra” – era stato condannato dal Tribunale di Norimberga a sette anni di reclusione. La Repubblica Federale di Germania si costituiva in giudizio1 eccependo il difetto di giurisdizione del giudice italiano e chiamava in causa la Repubblica italiana la quale, a sua volta, contestava sia le pretese attoree che la domanda di garanzia tedesca. In primo (nel 2012) e in secondo grado (nel 2018), la domanda attorea veniva dichiarata inammissibile, in quanto era negata la giurisdizione del giudice italiano. Si giunge così in Cassazione. Con la pronuncia in commento, viene ribadito che il principio dell’immunità degli Stati nazionali dalla giurisdizione civile straniera per gli atti compiuti iure imperii trova un limite nel principio fondamentale del rispetto dei diritti inviolabili della persona umana. Tale orientamento si è formato a seguito delle numerose richieste risarcitorie formulate nei confronti della Repubblica Federale di Germania, in relazione ai casi di deportazione e sottoposizione al lavoro forzato nei campi di prigionia (Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 28 settembre 2020, n. 20442)

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